Un tempo si credeva che le erbe della notte di San Giovanni avessero poteri benefici e terapeutici per il corpo.
LE ERBE DELLA NOTTE DI SAN GIOVANNI
Artemisia famiglia Composite
Fa parte del gruppo di piante denominate “caccia diavoli” e “caccia streghe” che venivano utilizzate nella notte di San Giovanni per difendersi dal malocchio. È nota inoltre come erba caccia tarli e caccia mosche, detta anche assenzio volgare, dedicata a Diana-Artemide chiamata anche “pianta dell’oblio” per le note proprietà allucinogene. È la protettrice dei viandanti, ai quali allevia il peso della via, facilitando il cammino terreno ma anche quello spirituale e ultraterreno. Un mazzetto appeso dietro la porta protegge la casa dalla folgore.
Verbena famiglia delle Verbenaceae
Era simbolo di pace e prosperità. Greci e Latini la chiamavano Hiera botanae, “erba sacra” e, a Roma, i suoi steli fioriti venivano raccolti per incoronare i sacerdoti. Consacrata a Venere, veniva utilizzata nella preparazione dei filtri d’amore.
Lavanda famiglia Labiate
Veniva usata per la preparazione dell’”acqua di San Giovanni”. Dopo essere stata irrorata dalla magica “guaza”. Veniva raccolta e posta nelle cassepanche dei corredi perché ritenuta un potente antitarme, ma, soprattutto perché si credeva che propiziasse la fertilità. In alcune zone veniva chiamata “erba lavandaia” perché si usava per infusi entro i quali venivano lavati quei bambini che si credevano “dbù dai strig”.
Menta Piperita famiglia Labiate
Si riteneva che avesse il potere di allontanare i serpenti ed anche di contrastare gli eventuali effetti del loro veleno, così come di allontanare gli insetti dalla loro abitazione. Bruciata nei bracieri disinfettava l’aria. Placa l’ansia e il mal di testa.
Salvia officinalis famiglia delle Labiate
Era una pianta medicinale ma soprattutto la si credeva dotata di “virtù” magico-salutari e divinatorie. Narra la leggenda che abbia acconsentito, dopo i rifiuti della rosa, della vite e del cardo, a proteggere Gesù durante la fuga, ricevendone in cambio dalla Madonna la capacità di curare e guarire ogni male, come una panacea. Il nome deriva dal latino salvare: ha effettivamente effetto benefico sull’organismo, depurandolo e favorendo il buon funzionamento degli organi femminili.
Camomilla famiglia Composite
Essicata, era presente in ogni casa dove veniva usata per decotti, lavaggi, impacchi a scopo terapeutico. Nei rustici giardini veniva coltivata con il nome di Mentricaglia, una varietà con fiori più vistosi e più aromatici. Il nome della famiglia d’appartenenza della camomilla viene interpretato come “erba delle madri”, in quanto lo si riteneva indispensabile a curare i disturbi femminili. Se ne facevano anche “brevi” che le fanciulle portavano al collo.
Rosmarino famiglia Labiate
Veniva usato insieme all’iperico, alla lavanda, alla ruta per preparare “l’acqua di San Giovanni”. Foglie e fiori, posti in un bacile d’acqua, venivano esposti alla “guaza” per tutta la notte precedente la festa del Santo. L’acqua, così profumata e benedetta, acquistava “virtù”. Caterina Sforza con distillati di rosmarino, salvia, basilico e menta inventò il tonico che venne chiamato Acqua Celeste.
Ruta famiglia delle Rutacee
Detta anche “erba allegra”, perché era un efficace talismano contro il maligno. Aristotele la citava come rimedio contro gli spiriti e gli incantesimi. Sparsa in mazzetti, allontana le formiche dalle soglie di casa. Durante il Medioevo rappresentava un potente ed efficace amuleto contro la stregoneria, per questo era consuetudine portare sul petto un sacchetto contenente le sue foglie secche. Proprio in seguito a queste credenze, la chiesa permetteva di coltivarla in vasi sui davanzali e appenderla sopra la porta di casa solo se benedetta.
Basilico famiglia Labiate
Era ritenuto ricco di “virtù” come erba caccia diavoli, caccia streghe, indispensabile per proteggersi soprattutto nella notte di San Giovanni.
Felce famiglia Pteridofite
Il suo raro e misterioso fiore, che cresce nella notte magica, pare che fiorisca improvvisamente, talvolta a mezzanotte precisa del solstizio d’estate. Ma anche il seme della felce, che si vuole risplenda come oro nella notte di San Giovanni, non diversamente dal magico fiore, farebbe scoprire i tesori nascosti nella terra.
Iperico famiglia Ipercacee
Erba ad Sa’ Zvan’ , “erba diavola”, si credeva contenesse il sangue stesso del Santo nelle sue vescicole. Presente in ognuna delle “ricette” dettate dalla tradizione nella notte di San Giovanni, veniva utilizzata anche per produrre un unguento, “l’ont ad Sa’ Zvan”, curativo per le scottature, le infiammazioni dolorose da punture di insetti. E’ una pianta perenne, spontanea, alta dai 30 agli 80 cm con fusto ramificato nella parte superiore dove si raccolgono, a mazzetti, i fiori gialli che fioriscono da giugno ad agosto lungo i bordi delle strade e dei sentieri e nei campi abbandonati.
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CREDENZE E TRADIZIONI DELLE ERBE DELLA NOTTE DI SAN GIOVANNI
Con queste “misticanze” di erbe e di fiori raccolte la vigilia e lasciate alla rugiada si preparava un’acqua “magica”, “l’acva ad San Zvan”, che, per tradizione era rigenerante, curativa e un antidoto contro il malocchio, la malasorte e le malattie di adulti e bambini. In Romagna poi era tradizione camminare scalzi nella rugiada e raccogliere la rugiada stessa caduta nella notte tra il 23 e 24 giugno (la gvaza ad San Zvan) stendendo un panno tra l’erba, strizzandolo poi il mattino successivo. Un altro sistema era trascinarsi dietro, passeggiando per i campi il mattino prestissimo, un lenzuolo; in questo modo la stoffa si inzuppava della rugiada che poi si raccoglieva sempre strizzandola, aveva lo stesso potere dell’acqua magica.
Tra le tante tradizioni ed usanze legate a San Giovanni vi è quella dell’aglio e della cipolla; il 23 giugno si estraeva dal terreno l’aglio e lo scalogno che venivano stesi nell’orto perché la rugiada di San Giovanni potesse irrorarli e quindi preservarli dal marciume. “L’aj ad San Zvan” è ricordato prevalentemente nella zona del cesenate e nella Romagna sud-orientale, mentre nel ravennate era più sentita la tradizione della cipolla. Infatti il Santo era chiamato “San Zvan da la zuola” e a Ravenna si svolgeva una grande fiera con questo nome.
In passato questi due alimenti avevano molta importanza, specie per le classi più povere “la zuola l’è e’ furmaj di puret”, che vuol dire “la cipolla è il formaggio dei poveri” e quella che assumevano nella farmacopea domestica. Si riteneva che la loro conservazione in trecce durasse più a lungo se il raccolto si faceva dopo la “gvaza ad San Zvan”, la quale “gvazêda” notturna assicurava anche particolari virtù terapeutiche. “L’aj ch’l’ha ciap la gvaza ad SanZvan”, se mangerai “l’aglio che ha preso la rugiada di San Giovanni”, godrai di ottima salute, dicevano i nostri vecchi, che usavano l’aglio come disinfettante e per inalazioni contro i “vermi”, per tener lontano il malocchio e le stregonerie in generale.
Si riteneva che l’aglio dovesse essere raccolto a San Giovanni perché fosse nel pieno del suo “vigore” e si mantenesse più a lungo. Il suo uso come pianta alimentare e medicinale è antichissimo. Era ritenuto ricco di virtù capaci di contrastare ogni maleficio. Si usava portarlo sotto la camicia, insieme alla ruta e all’iperico, per evitare il malocchio delle streghe nella magica notte di San Giovanni. È anche il giorno nel quale si raccolgono le noci dal mallo verde per preparare il nocino, il famoso liquore digestivo casalingo e del quale ogni casa contadina ha la sua ricetta.
Si credeva che le streghe nella notte della vigilia si radunassero e celebrassero il sabba sotto un grande noce. Nella campagna di una volta, per San Giovanni, si cominciava la mietitura e si diceva che il grano si poteva tagliare anche se non era del tutto secco, perché era già maturo e questo è anche il periodo che cominciano a formarsi, nell’uva, gli zuccheri e i succhi che daranno poi il vino.